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mercoledì 22 febbraio 2012

L'importanza di ricercare nuove medicine


La ricerca di nuove specie medicinali nell'ambito dell'Etnobotanica, ha lo scopo di ampliare le attuali conoscenze della fitoterapia occidentale al fine di un loro utilizzo in campo farmacologico per la risoluzione di patologie al giorno d’oggi curabili solo con l’impiego di farmaci o talvolta neanche con essi.
E' noto che con i normali protocolli farmaceutici di screening molecolare si produce circa 1 molecola con azione terapeutica su 30.000, circa lo 0,003% sul totale. Se si considera l’enorme numero di molecole a disposizione nel regno vegetale, si può intuire il perché la ricerca etnofarmacologica sta assumendo sempre più importanza presso l’industria farmaceutica.
Non è un mistero che l’industria farmaceutica si è sempre rivolta al mondo delle piante medicinali, come modello di sviluppo dei farmaci, la differenza sta nel fatto che negli ultimi anni le ricerche prendono spunto dagli impieghi popolari.

Un esempio chiarificatore può essere il seguente: nel 1960 negli Stati Uniti venne iniziata una ricerca di screening casuale di molte specie di piante per l’identificazione di molecole ad attività farmacologica. La ricerca durò 16 anni e portò infine all’identificazione di una sola molecola di interesse farmacologico: il taxolo. Trent’anni dopo, nel 1990, una ricerca simile si concentrò stavolta su 4500 specie tutte selezionate in base ai loro usi popolari e, nell’arco di appena 5 anni, si concluse con la scoperta di 3 nuove molecole farmacologiche.
Trattandosi di piante medicinali non bisogna applicare protocolli prettamente farmacologici, ma bisogna differenziarli nell’ipotesi che l’azione terapeutica di una determinata pianta, come spesso accade, non è da attribuire ad un singolo determinato principio attivo e spesso neanche ad una categoria di più principi attivi, ma ad un complesso insieme di molecole appartenenti a categorie anche abbastanza differenti che nella loro totalità prendono il nome di fitocomplesso.
Nel fitocomplesso le diverse molecole entrano in sinergia tra loro per amplificare la loro attività terapeutica dando un risultato sperimentalmente non ottenibile semplicemente sommando le diverse azioni dei singoli principi attivi.
Questo è un aspetto spesso difficile da affrontare in sede di ricerca scientifica ed è fonte di numerosi risultati imprecisi e poco affidabili. L'analisi di un singolo principio attivo non è praticamente mai esaustiva delle proprietà di una pianta o di una parte di essa.
 
La ricerca in questo è campo è indispensabile se pensiamo che un terzo delle cause di morte del pianeta continua ad essere determinato da malattie infettive teoricamente curabili, ma a costi non sostenibili dai due terzi dell’umanità, e dall’altro alla vastità del patrimonio vegetale su cui è possibile indagare.
Recenti stime hanno determinato che le specie vegetali conosciute sino ad oggi sono circa 300.000 di cui solo il 15% ha un impiego terapeutico tradizionale; di questo 15% (45.000 specie) solo per l’1% (ovvero 4.500 specie) è stata verificata la validità scientifica. Sebbene queste siano solo stime, si tratta di una prospettiva generale che spiega l’enorme mole di lavoro ancora da svolgere.
L’importanza della ricerca di nuove medicine in campo botanico non può prescindere dalla valorizzazione delle culture e delle risorse dei paesi di origine delle varie specie vegetali.
In genere quando nuove specie cominciano ad essere impiegate nella medicina occidentale (sia essa scientifica che alternativa) si ricorre all’aumento della raccolta nelle zone di origine, perché ancora le poche conoscenze e il poco interesse iniziale (soprattutto economico) non incentivano in alcun modo la coltivazione.
Già questa raccolta, purchè effettuata secondo una certa etica, può garantire l’impiego di centinaia di lavoratori senza creare gravi danni all’ambiente. Anzi, l’elevazione degli standard di sicurezza per la materia prima, la necessità di avere un prodotto esente da pesticidi, metalli pesanti e altri agenti inquinanti, dovrebbe essere un incentivo alla salvaguardia dell’ambiente di raccolta.
Ma è fondamentale capire che anche le pratiche di coltivazione devono essere condotte nell’ambito della salvaguardia dell’ambiente e della biodiversità, senza creare per le piante medicinali gravi prospettive di monocoltura e di distruzione dell’habitat ecologico come già avvenuto in passato per altre specie tropicali (caffè, cotone, tabacco, cacao, etc.).

Conservazione ed Ecologia sono strettamente legate alle piante medicinali, che se ben difese potranno essere disponibili per lungo tempo, continuando a fornire benefici per la salute e l’economia del mondo.
La Conservazione di nuove specie medicinali non si riferisce solo a quella relativa alle piante, ma anche alle culture che le utilizzano. Recentemente la globalizzazione nello sviluppo dei farmaci che mirano a risorse di Medicina Tradizionale ha sollevato il problema dei diritti di brevetto intellettuale e di priorità delle scoperte ai paesi d’origine.
Attualmente il protocollo per la ricerca di nuove medicine tra i rimedi tradizionali inizia con spedizioni nei paesi più poveri, dove equipe di etnobotanici pianificano, per conto di grosse multinazionali farmaceutiche, collaborazioni con i leader tribali, che mostrano loro i rimedi vegetali della zona. I ricercatori, in seguito, raccolgono campioni delle specie più interessanti e li mandano nei laboratori di ricerca occidentali per lo sviluppo di molecole con possibile interesse farmacologico. Quando avvengono scoperte interessanti, le case farmaceutiche procedono con il brevetto della molecola. La carenza di capitali e infrastrutture medico-scientifiche nei paesi più poveri, nonchè il grosso investimento monetario delle aziende farmaceutiche sono la base su cui gira questo sistema. Il problema si aggrava se pensiamo che oggi è possibile brevettare anche le sostanze naturali per il trattamento di una particolare patologia e non solo le molecole di sintesi.
In questo contesto è evidentemente necessaria una migliore legislazione a livello mondiale (e nazionale nei singoli casi) per proteggere i diritti di sfruttamento di chi detiene da sempre queste conoscenze tradizionali, così come i diritti degli Stati sovrani sulle proprie risorse culturali e genetiche.

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